Il 2 aprile scorso si è celebrata la Giornata Mondiale dell’Autismo, istituita dall’assemblea generale dell’ONU nel 2007 con l’obiettivo di sensibilizzare la comunità internazionale sulle caratteristiche e manifestazioni di tale condizione. 

Per partecipare all’evento, la classe 5D del Liceo Scientifico G. Marconi di Foggia, accompagnata dalla professoressa Antonietta Pistone, ha svolto due giornate di studio presso la struttura del Sorriso RSSA, nell’ambito delle attività di Alternanza Scuola-Lavoro congruenti con il progetto Psicologi si nasce e si diventa, dopo aver già preso parte, il 14 marzo, ad alcuni laboratori con ragazzi trentenni affetti da sindrome dello spettro autistico.

Il 4 aprile i ragazzi, dopo un breve brain storming collettivo, in cui si sono confrontati con un’altra classe dell’Istituto Einaudi di Foggia, hanno avuto la possibilità di esprimere le loro rudimentali conoscenze personali sull’autismo, per poi incontrare successivamente i genitori dei bambini e dei ragazzi affetti dalla patologia, fermandosi a dialogare con loro attraverso alcune domande che gli stessi alunni avevano in precedenza preparato. I gruppi sono stati coordinati dalla dottoressa Giovanna Zampaglione, psicologa e psicoterapeuta, dalle psicologhe Bianca Intiso e Francesca Riviello, e da alcune educatrici della struttura, seguite dalla dottoressa Valentina Schiralli, tutor esterno per l’attività di alternanza.

I ragazzi autistici, al Sorriso, non sono tutti residenziali. Una parte di loro, che può essere seguita dalle famiglie anche a casa, si reca presso la struttura al mattino, dove svolge attività laboratoriali, ricreative e di stimolazione sensoriale e motivazionale, fermandosi fino ad ora di pranzo. Al pomeriggio i ragazzi fanno ritorno alle loro famiglie, dove trascorrono la restante parte della giornata, circondati dall’affetto dei loro cari, genitori e fratelli. Il centro Diurno del Sorriso rende così possibile il monitoraggio continuo di giovani affetti dalla sindrome dello spettro autistico anche dopo gli anni di scuola liceale, quando molti di loro rischiano di essere abbandonati a se stessi, nella totale solitudine in cui non di rado le loro famiglie vengono lasciate dalle istituzioni.

Le mamme dei ragazzi affetti dal disturbo sono state molto disponibili al dialogo e al confronto con i ragazzi liceali, sostenendo che la condizione dei loro figli era differente da quella dei ragazzi autistici di oggi, perché trent’anni fa la sindrome dello spettro autistico era assai poco conosciuta, la sua diagnosi si presentava difficile, e avveniva con grande ritardo rispetto al manifestarsi dei primi sintomi.

I loro figli, da bambini, avevano difficoltà di espressione verbale, ed evidenziavano alcune atipicità del comportamento sociale ed affettivo, spesso non riconoscendo la figura materna, e non associando il nome di “mamma” alla genitrice che di loro si prendeva prevalentemente cura. Più tardi, i bambini autistici cominciavano a manifestare dei deficit di socializzazione, isolandosi dal contesto, e ripetendo sempre le stesse azioni, con precisione maniacale, come ad esempio fare collezione di macchinine, per poi metterle in fila ordinata senza giocarci.

Gli autistici hanno un mondo interiore che faticano ad esprimere e a raccontare agli altri, e che solo un grande amore può tentare di ascoltare e comprendere, per entrare in contatto con la loro sensibilità. Sono, tuttavia, persone genuine, che non conoscono la menzogna sociale, e appaiono esternamente quali effettivamente sono anche dentro. Hanno molto da insegnare a chi si avvicini loro con spirito di amicizia e di fraternità, senza dimenticare che al mondo esistono situazioni croniche di svantaggio, ma vi sono anche tanti accadimenti che possono aggiungere quella condizione di difficoltà a chi nasce senza un particolare disagio.

Gli interventi sui ragazzi affetti da disturbo dello spettro autistico devono essere quanto più possibile precoci, perché vi sono alcuni casi nei quali la stimolazione sensoriale, e la spinta motivazionale ad agire, risultano elementi fondamentali per fermare la progressione della disabilità e per lavorare alla valorizzazione di quelle abilità diverse che i bambini autistici manifestano di possedere.

Parlando con i genitori di questi ragazzi è emerso che un loro cruccio è legato alla preoccupazione per il futuro dei loro figli, quando resteranno soli. Ed è proprio per questo motivo che molti di loro li vogliono costantemente monitorati e seguiti in strutture protette, che possano alimentare quel senso di autonomia e di indipendenza dalle figure di riferimento parentali ed affettive, in generale. A differenza di quanto temono i loro genitori, i ragazzi autistici non hanno, infatti, alcuna percezione della loro diversità, perché vivono come condizione di normalità quella nella quale si trovano. Per questo stesso motivo, non esiste in loro alcun tipo di recriminazione né di insoddisfazione rispetto agli altri ragazzi loro coetanei, per quella differenza che spesso alimenta la prostrazione di chi, come i parenti più prossimi, vuole loro del bene.

Dal confronto con i genitori è emerso, infatti, che esistono differenti tipologie di autismo: quello ad alto funzionamento, che permette di occuparsi anche di attività complesse e di studi più elevati dal punto di vista cognitivo, ma non di svolgere le normali mansioni quotidiane, come prepararsi un panino o un caffè; e quello a basso funzionamento, che si adatta ad un quoziente intellettivo più basso, e che non consente di studiare e di approfondire più di tanto, ma nel quale permane come elemento di identificazione, l’estremo disagio nello svolgimento delle azioni quotidiane che richiedono una buona dose di autonomia personale.

Pare che proprio il padre della fisica classica, Isaac Newton, fosse affetto dalla Sindrome di Asperger, o autismo ad alto funzionamento. Quasi del tutto incapace di sostenere le relazioni e i rapporti umani, viveva chiuso nel suo isolamento, ma era tuttavia uno studioso d’eccezione.

La difficoltà dell’autistico nasce, difatti, proprio dalla sua incapacità a gestire lo stress e l’ansia che derivano da compiti non conseguenziali tra loro, e non utilmente inquadrabili in azioni specifiche e settoriali. Una mamma riferiva ai ragazzi liceali della difficoltà di comprensione della parola “cavatappi” nel figlio, se questi non si trovava in cucina al momento della sua richiesta. Pertanto lei doveva fare attenzione a non menzionare al figlio oggetti che, di volta in volta, non si fossero trovati nella stanza in cui erano insieme, perché questo avrebbe generato in lui un’ansia intollerabile e ingestibile. Ansia che scompariva del tutto se il ragazzo si trovava in cucina, magari vicino ad una bottiglia da stappare. In quel caso avrebbe eseguito con successo, immediatamente e puntualmente, il compito di prendere il cavatappi dal cassetto delle posate.

La stessa mamma ha riferito ai liceali presenti delle problematiche che ha poi dovuto affrontare in prima persona, quando gli è stato finalmente comunicato lo stato del figlio. Leggendo una letteratura ormai desueta, è giunta perfino a sentirsi in colpa, e a mettersi in discussione, come madre, per la condizione del figlio. In tempi ormai non proprio recenti, si credeva, infatti, che l’autismo fosse una conseguenza del rapporto sbagliato madre-figlio, improntato alla freddezza delle cosiddette madri frigorifero che, avendo subito una gravidanza indesiderata, o non propriamente voluta, non riuscivano ad accettare un rapporto equilibrato e sano con la prole. Nulla di più falso ed errato.

Vi è poi sempre un lutto da elaborare nei genitori di questi bambini speciali, chiamati figli della luna, perché chiusi nel loro mondo interiore, fatto di solitudine e di isolamento, ma detti anche blu, dal colore scelto dall’ONU per identificare la sindrome. Dopo il senso di colpa sopraggiunge, infatti, la disperazione per non aver avuto quel figlio tanto desiderato e sognato. Ed anche con questo lutto interiore bisogna fare i conti.

Solo dopo aver messo in pace la propria coscienza e le personali frustrazioni, i genitori possono dedicarsi interamente a questi bambini, enormemente bisognosi di amore e di cure continue.

Testimonianze toccanti di vita vera, che spiegano il disagio umano molto più di quanto non avrebbe potuto mai fare qualunque libro specialistico.

Il 6 aprile le attività si sono svolte attraverso pratiche di laboratorio. All’arrivo i ragazzi sono stati accolti dalla dottoressa Schiralli, che ha proposto loro la lettura e il commento di alcuni dei più importanti articoli della Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza del 1989, e ha fatto disegnare l’albero dei diritti inalienabili della persona umana, dalla culla alla tomba, attraverso attività di brain storming di gruppo, spostando la riflessione sul tema dei diritti dei diversamente abili. Gli alunni del Marconi hanno poi svolto attività con gli ospiti della struttura, incontrando gli anziani, i giovani disabili e i ragazzi autistici, con maggiore consapevolezza e convinzione.

In particolar modo, il laboratorio con i ragazzi autistici è stato seguito dalla dottoressa Rosaria Di Modugno, educatrice e pedagogista, che ha spiegato le differenti azioni di stimolazione sensoriale e gli interventi di tipo motivazionale posti in essere per attivare le risposte emotive e cognitive degli ospiti residenziali e diurni del Sorriso.